comit


Non possiamo perdere un altro pezzo di Paese». Da dieci anni a questa parte ad ogni cambio di governo ha corrisposto un avvicendamento nella proprietà di Telecom Italia. Una eventualità che sta emergendo anche questa volta. Dopo la vittoria di Silvio Berlusconi, i rumors sulla società di Corso Italia sono diventati via via più corposi. Stavolta, però, hanno messo in allarme e non tranquillizzato Palazzo Chigi. Perché il Cavaliere non vuole nemmeno sentire parlare di un trasferimento della più grande azienda telefonica in «mani straniere». «Non possiamo perdere un altro pezzo di Paese». Il pressing della spagnola Telefonica, insomma, non piace per niente al governo. Così come le voci che annunciano un interessamento di Vodafone. Ma il fronte che più agita il premier resta quello spagnolo. I soci di Madrid sono già presenti nella governance di Telecom con una quota sostanzialmente paritaria rispetto ai partner italiani. Senza contare che nell´accordo siglato circa un anno fa, durante il governo Prodi, di fatto era già stato indicato l´obiettivo del 2010 per un graduale passaggio nelle «mani straniere». Ora però le difficoltà del gruppo guidato da Franco Bernabè stanno anticipando l´originaria road map. Nel giro di 12 mesi il titolo ha dimezzato il suo valore e raddoppiato la "scalabilità". E di questo proprio l´Ad di Telecom ha discusso l´altro ieri sera in un incontro riservato con il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta. Un colloquio informale in cui, però, il braccio destro di Berlusconi ha fatto capire che l´esecutivo non gradirebbe una cessione a soggetti «esteri». La difesa dell´"italianità", come è accaduto per Alitalia, è un chiodo fisso del premier. Che ha così fatto chiedere all´amministratore delegato di rimanere al suo posto e di evitare qualsiasi mossa che possa facilitare una scalata o qualsiasi altra operazione in grado di sbilanciare l´attuale assetto. Tra i rischi valutati a Palazzo Chigi, infatti, non c´è solo l´opa. Ma anche un aumento di capitale. Sostenibile solo dal partner industriale - ossia Telefonica - e non dai soci finanziari italiani. Un passo, quindi, capace di spostare il baricentro del controllo verso Madrid.Un pericolo, appunto, che il presidente del consiglio vuole assolutamente allontanare. A Palazzo Chigi sono convinti che lo stato di salute di Telecom non sia esattamente perfetto e che i 42 miliardi di indebitamento rendano complicatissima la difesa dell´"italianità". Eppure i 300 mila km di cavi di cui dispone l´ex Sip, quindi la gigantesca rete che attraversa l´intero territorio, e alcune sue funzioni sono considerate «vitali». A partire da quella "informativa" che, secondo Palazzo Chigi, non può andare a finire «in mani straniere» come dimostrano anche le recenti rivelazioni. Senza contare che un soggetto come Telefonica potrebbe diventare presto, con la banda larga, un competitor nel settore televisivo: incrementando cioè il prodotto e l´offerta tv sulla rete dei telefoni. E senza contare che da tempo Mediaset non nasconde il suo interesse per il settore. Solo quattro mesi fa, il 13 marzo, Fedele Confalonieri definiva «ragionevole e interessante» una fusione tra Mediaset e Telecom. E poco più di un anno fa, il 19 aprile 2007, lo stesso Berlusconi aveva confermato la «disponibilità» a entrare nella governance «per mantenere l´italianità di un´azienda così importante». Il premier, quindi, non solo non vedrebbe di buon occhio il cosiddetto "Piano Fossati", ma ha messo in moto una sorta di "moral suasion" per allontanare le mire «straniere» e convincere soggetti italiani a investire di più su Corso Italia. In particolare, nei ragionamenti informali con i suoi fedelissimi, ha insistito sul ruolo di Generali. Secondo il Cavaliere, il gruppo Triestino potrebbe assumersi una maggiore responsabilità. Anche con l´obiettivo di bloccare un eventuale "putsch" spagnolo. E il pressing sul Leone non sarebbe casuale, visto che il patto di sindacato è guidato da Mediobanca e nel patto di sindacato di quest´ultima ha un ruolo fondamentale la berlusconiana Mediolanum. Per le prossime mosse, comunque bisognerà aspettare il cda di Telecom, fissato per il prossimo 8 agosto e nel quale potrebbe esserci una definizione di quei 5 miliardi di investimenti previsti per il primo anno nel piano industriale di Bernabè.

Sul fronte finanziario, ieri Marco Fossati ha detto a Reuters che un'integrazione tra Telecom Italia (TLIT.MI: Quotazione) e Telefonica (TEF.MC: Quotazione) porterebbe grossi vantaggi per tutti gli azionisti. Fossati ha aggiunto che la finanziaria di famiglia, Findim, azionista di Telecom Italia con il 4,45% del capitale, ha elaborato un piano industriale, alternativo a quello attuale, da presentare a settembre. Il primo azionista di Telecom Italia è Telco, con il 24,5% del capitale. Telco è a sua volta controllata da Intesa Sanpaolo (ISP.MI: Quotazione) al 10,6%, Generali (GASI.MI: Quotazione) al 28,1%, Mediobanca (MDBI.MI: Quotazione) al 10,6%, Telefonica (TEF.MC: Quotazione) al 42,3% e Sintonia della famiglia Benetton al 10,6%

Comments

Popular Posts